A lunghi passi verso la modernità – Venezia città passatista
Tommaso Marinetti l’ eclettico fondatore del Movimento Futurista proponeva nel 1912 di sfiatare Venezia, città passatista: “Noi vogliamo guarire e cicatrizzare questa città putrescente; piaga magnifica del passato. Noi vogliamo rianimare e nobilitare il popolo veneziano, decaduto dalla sua antica grandezza morfinizzato da una vigliaccheria stomachevole ed avvilito dall’abitudine dei suoi piccoli commerci loschi”. Qualcosa nelle parole provocatorie di Marinetti ci fa pensare ai tempi attuali, in fondo Marinetti quando parlava di una città dei Grandi alberghi e dei piccoli commerci sembrava aver previsto quello che la città sarebbe diventata. La Venezia che gli artisti futuristi attaccavano era, però, una città in evoluzione e appariva meno ingessata e immobile di come i futuristi in maniera provocatoria descrivevano. Grandi erano state le trasformazioni ottocentesche e, soprattutto la Biennale d’Arte di lì a poco avrebbe rappresentato il termine di paragone per decine di biennali d’arte nate e cresciute in tutto il mondo, in primis quella brasiliana nata dopo l’ esposizione veneziana e a cui fu inizialmente molto legata.
Assieme all’arte, si incontravano anche le architetture, in una città che storicamente non è mai stata uniforme dal punto di vista architettonico.
A causa della sua unica struttura e conformazione, l’architettura ha sempre giocato un ruolo predominante. Non si riflette mai abbastanza su come i Giardini di Castello siano una sorta di ‘museo dell’architettura del Novecento’ dove molti studi di architettura internazionali si incontrarono.
Carlo Scarpa e Bruno Giacometti si incontrarono (anche) alla Biennale di Venezia o meglio i rispettivi padiglioni furono costruiti affiancati nei giardini di Castello a testimonianza di questo incontro. La condivisione del sapere e la stima reciproca riuscìrono a creare due piccole architetture in grado di dialogare tra di loro.
Incontrarsi alla Biennale di Venezia
Il Padiglione Svizzero
Alla Biennale di Architettura del 2023 Karin Sanders e Philip Ursprung, rispettivamente artista-professore e professore-architetto progettarono un semplice e illuminante padiglione dedicato all’incontro tra l’architetto svizzero Bruno Giacometti, autore del padiglione della Svizzera con Carlo Scarpa, che aveva realizzato l’adiacente padiglione del Venezuela dal titolo Neiboroughts – Vicini. Il padiglione svizzero è normalmente curato da Prohelvetia.
All’interno del padiglione spoglio si trovava un tappeto bianco rappresentante i progetti originali di Bruno Giacometti e di Carlo Scarpa, contemporaneamente era stato ripristinato il collegamento tra i due padiglioni, che si era perso nel corso degli anni a causa della costruzione di un muro divisorio.
Grazie alla visione del progetto originale di Carlo Scarpa era anche possibile capire una piccola modifica realizzata al lavoro dell’architetto veneziano nel corso degli anni. Come altri architetti, i due progettisti si trovarono a dover lavorare in uno spazio delimitato dagli alberi che divennero la cortina delle architetture, risolvendo brillantemente il problema degli alberi preesistenti.
La Svizzera non è nuova alla realizzazione di padiglioni in cui si evidenzia il tema dei confini. Anche il padiglione della Biennale d’Architettura del 2021 parlava di confini, di spazi e anche di condivisione con Oræ – Esperienze al confine. Orae, curata da Mounir Ayoub, Vanessa Lacaille, Fabrice Aragno e Pierre Szczepsk raccontava come la nostra percezione dei confini sia in fondo legata alla nostra storia personale e i confini non siano fissi, ma appaiano mutevoli a seconda delle nostre esperienze personali. I curatori attraverso varie interviste condotte in Svizzera avevano disegnato una geografia diversa e personale dei confini fisici dei paesi, ma in fondo mentali degli intervistati: ognuno aveva descritto un confine diverso e spesso all’interno dello stesso paese!
Forse qui sta il nocciolo della questione tra i confini e la comunicazione, le nostre percezioni e la realtà , le nostre incomprensioni dei confini personali, e talvolta fragili degli altri. Vorrei riprendere le parole dei curatori del padiglione del 2023, Karin Sanders e Philip Ursprung, : “Abbiamo cercato di ripensare le funzioni dei due padiglioni e del loro ambiente circostante e di superare i rispettivi confini mediante mezzi artistici. In questo modo ci interroghiamo sia sulle demarcazioni spaziali, culturali e politiche che sulle convenzioni della rappresentazione nazionale. Con un gesto utopico, al luogo contrapponiamo una realtà poetica che per un momento lascia posto a una nuova prospettiva“.
Incontriamoci a Venezia, passatista, ma bella così com’è, senza bisogno di “asfaltare i canali con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi” come proponeva provocatoriamente Tommaso Marinetti.
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Padiglione della Svizzera e del Venezuela