Alla 60ma Biennale dell’ arte di Venezia abbiamo visto molti artisti provenienti dal ‘sud del mondo’. È stata una precisa scelta del curatore Adriano Pedrosa quella di privilegiare tutti quegli artisti che in precedenza non avevano avuto la possibilità di partecipare all’esposizione, in particolare gli artisti queer, quelli indigeni, gli artisti autodidatti e questo qualche volta a discapito della qualità del loro lavoro. Abbiamo, però anche potuto vedere esporre alcuni paesi la cui presenza è piuttosto recente, come il Sultanato dll’Oman con il padiglione Malath – Haven, un piccolo padiglione accogliente curato da Alia Al Farsi e dedicato alla tradizione accogliente del paese nei confronti dei visitatori, oppure la Santa Sede e il suo padiglione Con i miei occhi, all’interno del carcere dell’isola della Giudecca, rappresentanza ritornata dopo un periodo di assenza e dedicato agli ultimi. Anche alcuni paesi africani erano presenti con dei padiglioni il cui numero si moltiplica ogni anno e con presenze interessanti, come il Benin, ospitato per la prima volta all’Arsenale con Everything that is beautiful, is fragile, dove quattro artisti, sotto la direzione del curatore Azu Nwagbogu, si interrogavano sulla fragilità del mondo contemporanea. Il padiglione presentava anche opere di vetro di Murano dello Studio Berengo oppure la Nigeria, Nigeria Imaginary, organizzato dal MOWAA (Museum of West African Art) oppure l’Etiopia con Prejudice and Belonging , un padiglione monografico del giovane artista Tesfaye Urgessa a palazzo Bollani, uno dei più bei padiglioni esterni della BIennale. Si trattava di padiglioni interessanti, alcuni presentavano allestimenti accurati, alcuni erano in grandi spazi di palazzi veneziani, con artisti bravi, che provengono da un continente, quello africano dove c’è una forte vitalità e energia nel campo artistico. Ad elencarli tutti ci vorrebbe molto tempo e molta pazienza da parte dei lettori.
A riprova di come l’Africa sia vitale nel campo dell’arte contemporanea apprendiamo proprio oggi, che a dirigere la prossima Biennale 2026 sarà la curatrice camerunese/svizzera Koyo Kouoh.
Finita la Biennale dove troviamo l’ arte africana a Venezia? AKKA project
Finita la Biennale bisogna visitare le gallerie private per cercare gli artisti provenienti dal continente africano. La casa dell’arte africana contemporanea a Venezia è la galleria AKKA project. Attualmente la galleria ospita due mostre. Per quanto riguarda Il primo artista in mostra, Beau Disundi Nzazi, la descrizione che ci viene data del suo rapporto con Venezia è questa: – Venezia, città costruita su palafitte è stata lo scenario ideale per questa esplorazione. Un tempo potenza globale, Venezia sfruttava il mare per collegare mondi lontani, ma oggi si ritrova a dover affrontare l’innalzamento delle maree che ne minaccia il futuro. Per Nzazi, la città simboleggia al contempo resilienza e fragilità. La sua residenza presso AKKA Project gli consente di tracciare collegamenti tra Venezia e altre città chiave come Kinshasa, sua città natale, e Bruges, dove secoli di cambiamenti economici e politici hanno lasciato un’impronta duratura sul territorio e sulla sua popolazione-.
Anchoring Sinckness
Anchoring Sickness è il complesso delle opere prodotte durante la residenza artistica a Venezia di Beau Disundi Nzazi esposte dal 23 novembre all’8 dicembre 2024. Le opere di Nzazi, create durante il suo soggiorno sull’isola, esplorano le complesse relazioni tra identità, storia coloniale e le strutture che ci ancorano e al contempo ci destabilizzano.
Don’t be a square
Nella stessa galleria, AKKA Project si può vedere anche “Don’t Be a square”, la seconda esposizione che troverete in galleria è realizzata con opere sempre di artisti provenienti da tutta l’Africa. – La mostra, la prima di una serie all’interno del progetto “Don’t Be a Square!”, sfida gli artisti a creare opere accattivanti all’interno di un formato di 30 x 30 cm, offrendo ai collezionisti un’opportunità rara di acquisire opere d’arte africane originali a un prezzo accessibile.-
E questo a dimostrazione che anche l’arte di qualità può essere “accessibile”. L’ingresso è libero.
Fiorella Pagotto
Venezia, dicembre 2024